Rosso pompeiano

ROMA -
Gli ingegneri militari, gli scultori e quant'altri al servizio dei Borboni, dal 1739 cominciarono a staccare le pareti affrescate dalle "domus" e ville di Ercolano, Pompei, Stabia, Boscotrecase con dieci-venti centimetri di muro attaccato. La loro preoccupazione era ottenere "quadri" e "quadretti", non salvare le pareti, le testimonianze della rara pittura romana. Anzi, fino al 1763 e oltre, quando le pitture conservate erano circa 1.400 (oggi sono 4.500), la scelta degli affreschi da staccare fu affidata da un re "ignorante, incapace", Carlo III, al custode del Museo di Portici che decideva anche quali affreschi distruggere. I "quadri" venivano ottenuti isolando in cornici di legno molto semplici le scene più figurate, i protagonisti fra dei ed eroi, i grandi attori di teatro, le maschere, gli animali, i ritratti, le "nature morte", le porzioni di fregi, le cornici dipinte. Riunendo anche ciò che era separato: menadi danzanti come spiritelli, amorini giocosi e cacciatori, centauri e ninfe, tutte figurine alte venti-trenta centimetri che ora formano processioni a due, quattro, sette, otto personaggi con attaccature grossolane, ben visibili fra le varie figure.
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